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Sono passate anche queste Elezioni Regionali. E abbiamo provato una fin troppo nota sensazione: quella dell’incomprensione.

Non abbiamo capito il Paese che ci stava davanti. E a dire il vero, è da un bel po’ che non lo capiamo. E’ come se sotto i nostri occhi si fosse consumata una mutazione sociale, culturale, quasi antropologica, e noi fossimo rimasti soltanto a guardare. Dicendoci “eh, no, ma così non va bene”. Ma intanto il cambiamento c’era, e non abbiamo saputo fermarlo.

A cosa vogliamo dare la colpa? A Silvio Berlusconi? Alla globalizzazione? Alla perdita dei punti di riferimento ideologici? Al fatto che non esista più né una coscienza né una lotta di classe? Alla banalizzazione del messaggio politico? Alla frammentazione di cui siamo tutti vittime e complici, suddivisi come siamo in partiti, correnti, gruppi di interesse?

La risposta sta un po’ in tutti questi fattori, e in un più grave fenomeno: la politica tradizionale ha smesso di far sognare. Una volta, ai comizi e nei circoli, si vedevano facce giovani, entusiaste, si gridavano slogan, si sognava di nuovi mondi possibili. Si credeva di poter cambiare veramente la realtà con l’azione quotidiana. La memoria del fascismo, della repressione, era ancora viva. E allora si voleva partecipare, al punto che il personale era politico. Certo non per tutti. Ma per una parte della popolazione molto più ampia che adesso.

Anche la vita era diversa. Più difficilmente si rinunciava a una serata in compagnia per la solitudine del divano e del tubo catodico. Ora ci hanno fatto credere che le strade e le piazze siano luoghi pericolosi in cui riunirsi, e i pochi bar d’una volta – quelli che un tempo recavano accanto all’insegna il simbolo di un partito – si fanno sempre più rari. Tante, troppe persone sbuffano al solo nominare la parola “politica”, come se non fosse la cosa più importante del vivere comune. E subito dopo viene la frase agghiacciante: “tanto sono tutti uguali”. Ecco, il livelli da cui ripartire sono proprio due. Il primo: contraddire con i fatti il discorso uniformatore che vuole tutti gli uomi politici, di qualsiasi partito, completamente equivalenti. Non è questione della tanto decantata “superiorità morale” della sinistra. Anche da noi c’è gente che sbaglia. Ma chi sbaglia paga. Si dimette. Fronteggia i processi. Dall’altro lato, invece, chi sbaglia cerca di sovvertire l’ordine istituzionale. Getta fango sulla magistratura. Impone il ricatto di nuove leggi ad personam. Ecco cosa ci rende completamente diversi: l’assunzione della responsabilità e il rispetto delle istituzioni.

C’è poi un secondo piano: la necessità di tornare a coinvolgere le persone, di far capire che il ruolo di un rappresentante politico, a partire dal nome, è farsi portatore delle istanze della popolazione. Troppo spesso abbiamo lasciato che la gente si dimenticasse che eleggere qualcuno significa anche dare spazio alla propria visione del mondo. Con i suoi problemi, le sue speranze, le sue specificità. Visione, è questo che ci vuole. Un progetto, la risposta ai quesiti che le persone si pongono. Su alcuni temi la sinistra ( intesa in senso ampio come quell’insieme di forze che nel suo programma prevede politiche redistributive per raggiungere  una maggiore uguaglianza sociale) un progetto unitario lo ha; su altri, è fortemente divisa. Non riesce quindi a dare il senso di un’alternativa possibile.

Occorre riscoprire i fondamentali e da lì ripartire per mobilitare una popolazione sempre più rinchiusa in un amaro individualismo. Perché Grillo ha avuto così tanto successo e perché forze come IDV e Lega sono uscite consolidate da questa scadenza elettorale? Semplice: per l’immediatezza nel parlare alle persone. Certo, con argomentazioni diverse, talvolta antitetiche. Ma hanno avuto la capacità di dare risposte semplici e comprensibili. Per i delusi dalla politica, Grillo offre la redenzione di un movimento dal basso che fa tabula rasa di ogni differenziazione fra i partiti. Per chi è disgustato dalla corruzione e dell’arroganza dell’attuale governo, IDV offre una voce di opposizione forte e decisa, molto meno propensa a piegarsi ai compromessi rispetto al PD. Infine, la Lega fa appello alla paura delle persone e propone soluzioni semplicistiche e demagogiche. Ma lo fa alzando la voce, e questo convince.

Queste tre formazioni hanno molto in comune: il potere del leader, il linguaggio forte, il manicheismo. O è bianco o è nero, le sfumature altro non sono che disprezzabili compromessi. Questo è vero soprattutto per il movimento di Grillo (vedremo se sarà così ora che ci sono anche consiglieri regionali delle liste a 5 stelle) e per Bossi, mentre Di Pietro ha già dimostrato di saper essere un politico responsabile quando necessario.

In ogni caso, anche il PD ha qualcosa da imparare da queste formazioni. In primo luogo, deve imparare a comunicare alle persone. La lunga e tormentata genesi del PD ne ha fatto un partito che tende a guardarsi dentro più che a guardarsi attorno. Certo, a nuovo partito nuove regole. Occorreva tempo per far collimare identità diverse, per far entrare energie nuove, per creare una stuttura unitaria e trovare il segretario adatto. Ma continuare a ripararsi dietro alla formula del “lasciateci tempo, siamo un partito nuovo” rischia di avere risultati disastrosi. Innanzi tutto perché è davvero ora di iniziare a lavorare compatti, ma anche perché è troppo facile trovare questo tipo di scuse.

Adesso il PD deve scrollarsi di dosso la sua timidezza, la sua indecisione, i suoi tentennamenti. E’ ora di schierarsi e di farlo con un linguaggio chiaro e comprensibile. Utilizzare la forza della parola a supporto della forza delle idee. Il problema è che ci sono ancora dei buchi neri sui quali intervenire. E’ ora che questo “progetto” diventi davvero un partito compiuto. Perché l’assenteismo è un segnale chiaro: le persone non si sentono rappresentate. Facciamo loro capire che non è così, prima che sia troppo tardi.

4 thoughts on “Elezioni Regionali 2010: fra astensionismo e frammentazione.

  1. Mai il dubbio che la gente non vi voti perché ha visto cosa non sapete fare? Mai il dubbio che la gente non vi voti perché non capisce cosa fareste al posto di questa banda di ladri? Stare dalla parte dei ladri vuol dire accettare meccanismi odiosi e viscidi. Ma non si può stare dalla vostra perché a sinistra, quegli stessi meccanismi, sono usati a senso unico e non per tutti. Mi spiego meglio: il Pdl ruba e fa rubare tutti. Il pd ruba e farebbe rubare solo i propri clienti. Chi scegliere? Da 20 anni gli unici progetti che proponete sono l’antiberlusconismo. L’unico che aveva fatto qualcosa di buono, Prodi, l’avete cacciato come un appestato grazie alla fiducia accordata a uno come Mastella (per tutelarvi in Campania, dove avete giustamente perso). Ma che prospettive avete?

    • Ciao Mario,
      io non credo che sia proprio come dici tu. Non è vero che non proponiamo niente di diverso dal Pdl: un programma c’è, è ben diverso dal progetto berlusconiano e lo si trova sul sito del Partito Democratico. Anche per le Regionali avevamo un programma decisamente alternativo a quello di Formigoni (parlando della realtà lombarda, quella che conosco meglio); il problema, semmai, è quello di riuscire a comunicare la validità di quest’alternativa e convincere le persone che possono fidarsi di noi perché effettivamente sapremmo gestire meglio il Paese.

  2. Ciao,
    seguiamo costantemente da qui la situazione italiana e siamo portati a fare dei confronti con la nostra situazione locale Mi pare che il discorso sul PD che tu fai si possa estendere anche ai movimenti della sinistra svizzera. Ma l’argomento dovrebbe portarci a riflettere proprio sul concetto di “partito” e sul funzionamento di queste strutture nel rapporto con la popolazione. E questo anche confrontandoci con il nuovo uso dei media. Non credo sia solo un problema di linguaggio o di contenuti dei programmi politici. C’è un dato di fatto su cui si può riflettere utilmente: che cosa succede alla delega di rappresentanza una volta che il cittadino l’ha data ( ai partiti e alle persone )? Quale controllo l’insieme dei cittadini può avere sulle persone cui ha delegato il potere di fare questo o quello ? Qualunque forma organizzativa di “partito”( più o meno democratica che sia ) necessita di una delega ad un numero di soggetti che poi gestiscono i contenuti di questa delega. Esiste una alternativa ? Ci troviamo di nuovo a riflettere su temi che il ’68 aveva posto concretamente, ma che erano poi stati persi per strada. Ci si chiede per es. se Grillo propone qualcosa di nuovo , e in apparenza sembra di sì. Ma basta sparare a zero contro i partiti esistenti per avere una proposta diversa ? Il PD ( come altri partiti della sinistra) sembra credere che basti avere delle primarie per poter rivendicare un grado migliore di rappresentanza dei candidati in lista, e questo pure conta. Ma quale è il rapporto che la struttura “partito” mantiene oggi con il territorio ? Quale presenza costante ha ,localmente , questa struttura sui problemi che la popolazione affronta quotidianamente ? Non parlo del rapporto generico con ” la classe”, intendo in che modo le persone vivono localmente la presenza degli attivisti del partito sui problemi concreti della quotidianità ? In che misura questa presenza è espressione dei bisogni che le persone vivono ? Mi colpisce un dato di fatto che molti commentatori hanno sottolineato : la Lega sembra abbia un rapporto più stretto con il proprio elettorato e con il territorio, tanto da aver meno bisogno di essere presente sui grandi media. È una illusione ottica ? Oppure esiste veramente qui qualcosa di nuovo ? Tralasciando i contenuti della proposta politica, è possibile che il richiamo ad una “identità” locale o regionale sia in grado di favorire un rapporto diverso con la popolazione ? Oppure qui di nuovo si tratta di una nuova veste del populismo classico ? C’è qualcosa su cui riflettere , in questo caso ?

    …..Ci piacerebbe poter entrare in discussione su questi temi .
    Un caro saluto e un augurio: che una riflessione sul che fare permetta di trovare nuove strade, e far crescere una speranza di futuro.

    Ponterosso

    • Ciao Ponterosso,
      lieta di ritrovarti!
      Devo dire una cosa: è vero, i rappresentanti della Lega sono ben presenti sul territorio. Ma si avvalgono di un linguaggio dualista che alla lunga verrà smascherato: da un lato, a “casa loro”, si lanciano contro “Roma Ladrona” e agitano gli spauracchi dell’insicurezza, dell’immigrazione illegale, di un’identità minacciata. Dall’altro, come parte del Governo, si godono tutti i vantaggi dell’essere parlamentari, ma non agiscono in sede istituzionale per risolvere quei problemi che ormai da anni garantiscono loro crescenti risultati elettorali.

      Posso dire che i rappresentanti del PD, almeno nell’area milanese in cui sto attualmente vivendo, sono ben presenti sul territorio e spesso sono in grado di dare un aiuto concreto. Questo non toglie che ci sia ancora molto da fare: in preparazione alle Comunali del 2011, per esempio, il PD sta organizzando un “tour” (è il termine sbagliato ma al momento non me ne viene in mente un altro) di tutta la città, per incontrare le persone, affrontare concretamente le situazioni più critiche e mostrare che effettivamente i rappresentanti eletti possono dare un contributo per il miglioramento delle vite dei cittadini. Spero che questa modalità di rapportarsi alla campagna elettorale dia i suoi frutti e diventi una prassi da portare avanti con continuità, per tornare a essere una forza davvero a contatto con i problemi concreti del Paese.

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